Un nuovo giorno
van user8404837 surname8404837 @permalink8404837
- 77
- 4
- 2
UN NUOVO GIORNO
“Oggi non voglio andare a scuola” si disse decisa Matilde ancora tra il sonno e la veglia.
“Giù dal letto bambini, è ora di fare colazione!” Chiamava intanto canticchiando il suo papà andando su e giù per il corridoio; chissà perché si svegliava sempre così di buon umore.
“No e poi no” continuò a ripetersi, restando zitta e nascosta sotto al lenzuolo.
Finalmente il papà di Matilde decise di andare a vedere che ne fosse stato di lei.
“Matilde alzati! Tuo fratello è già a tavola!”
‘Lo credo bene! Lui è uno di quei bambini a cui piace un sacco andare a scuola, ma a me no!’ Borbottava tra sé e sé covando una certa antipatia nei confronti del fratellino Marco, così diligente.
Non vedendo movimento il padre si mise i punta di piedi e raggiunse con lo sguardo la cima del letto a castello dove sorgeva un vulcano di coperte.
“Toc toc” bussò contro la montagna.
“Non voglio andare a scuola” riecheggiò una vocina lamentosa.
“E invece ci vai, a costo di portarti in pigiama!” Disse il papà mentre tirava via tutta in un colpo la coperta scoprendo sotto Matilde ancora con gli occhi chiusi forzatamente.
Non c’era niente da fare, papà aveva vinto. Matilde si vestì di mala voglia, fece della colazione un paio di bocconi che trangugiò senza assaporare, raccattò la cartella preparata la sera prima, e si infilò per la porta, giù per le scale, ancora con gli occhi gonfi di sonno.
Ecco la sua fedelissima Graziella rosa. Ecco la strada diritta davanti a lei che portava verso la scuola.
Partita.
Alla prima ora l’aspettava L’interrogazione di scienze, poi avrebbe dovuto consegnare quel compito di disegno tecnico che sapeva già non esserle venuto bene, e infine quei suoi compagni poco simpatici che ogni occasione era buona per fare una battuta, o sulle sue occhiaie o sui suoi capelli scompigliati, o semplicemente, perché era più bassa della maggior parte di loro. In più in quel primo anno di scuola media non era riuscita a fare amicizia con nessuno, anche il gruppetto delle elementari non era rimasto unito dopo l’ultimo anno.
Mentre si rimestavano nella sua testa tutti questi pensieri raggiunse il vecchio solito incrocio.
La sua memoria avrebbe guidato la bicicletta a destra, come al solito.
Ma ecco che la ruota deviò inaspettatamente a sinistra.
Gli sforzi di Matilde furono inutili, la bici aveva deciso: non di là!
“Si può sapere che intenzioni hai?” Brontolò contro la vecchia Graziella incaponita.
“Ti porto fuori!” Rispose quella.
‘Ma come, le biciclette parlano?’ Pensò Matilde tra sé e sé.
Era una bambina dotata di una viva immaginazione; spesso, quand’era più piccola, parlava con pupazzi e bambole e immaginava scenari fantastici, e anche crescendo non si era del tutto liberata di quelle fantasie, finché la scuola non aveva preso a occupare la maggior parte dei suoi pensieri. Lì per lì si mostrò stupita del fatto, ma infondo, in un angolino che ancora esisteva in lei, la cosa non era poi così strana.
Frenò bruscamente, fermandosi al fianco del marciapiede e piantando un piede sull’asfalto a modi cavalletto.
“Fuori dove?” Interrogò allora la Graziella rosa che da quel giorno aveva deciso d’avere una personalità.
“Ma insomma! Prima dici che non vuoi andare a scuola, e io che per l’appunto non ti ci porto mi sento fare il terzo grado!”
Matilde avrebbe giurato che non ci fossero prima, ma ora era sicura di vedere un paio di occhietti indispettiti guardarla dal manubrio e d’istinto sollevò le mani mollandolo di colpo.
Quella faccenda era davvero strana, chissà se i cereali che aveva mandato giù quasi senza masticare potessero essere avariati?
‘Va bene, finiamola’ si disse convinta ormai di avere le allucinazioni.
Riagguantò il manubrio e fece per girarsi con tutta la bici.
“Ook, come preferisci. Io ti portavo al parco, ma se una bella interrogazione è quello di cui senti il bisogno, va! Vai pure, corri!”
La bici quel giorno si comportava come il famoso diavoletto che nei cartoni animati mettevano sempre sulla spalla opposta all’angelo. Non voleva farla andare a scuola; d’altronde fino a un attimo prima era questo il suo chiodo fisso: non voleva andare!
Dunque Matilde prese una decisione.
Magari era un’allucinazione, oppure un sogno, o nella migliore delle ipotesi: era tutto vero! Allora, se potevano accadere faccende così assurde, che senso aveva impuntarsi tanto per non perdersi un giorno di scuola? La sua bici parlava, aveva due occhi, e la voleva portare al parco e, chissà quante altre cose fantastiche potevano ancora capitare! Dunque decise che non avrebbe ostacolato il corso degli eventi.
E così andarono al parco.
Era una luminosa giornata di maggio, quelli che non andavano a scuola o al lavoro se ne stavano tutti a zonzo a prendere il sole del mattino.
Il parco paradiso era una grande distesa di verde, con due collinette al centro su cui erano stati montati tutti i giochi. Matilde era un pò cresciuta per quelli, ma ancora non aveva perso la sua passione per le altalene e in particolare, per quel gioco di girare su sé stessa intrecciando la catena fino a lasciarsi andare come una trottola.
“Beh non mi leghi?” Protestò la bici quando si vide abbandonata a terra con mezzo cavalletto giù e senza lucchetto.
“Oh, scusa” Matilde s’era lasciata sopraffare dall’entusiasmo, o forse era l’adrenalina scatenata dal fatto che per la prima volta stava marinando la scuola il che la faceva sentire un pò criminale.
Legò la bici a un palo come le aveva insegnato il babbo, poi le diete una carezzina sul manubrio (che pensò dovesse essere la testa visto che cerano i due occhietti semichiusi).
“Grazie del passaggio e…”
“Rita, chiamami Rita… Yawn!” Le rivelò il suo nome sbadigliando.
“Va pure, mi farò una dormitina, tutte queste altre bici sono così noiose”
Matilde rise, la lasciò lì vicino alle altre biciclette e si precipitò all’altalena, pronta per i suoi voli.
Quando fu in cima alla collinetta e raggiunta la meta aveva appena cominciato a dondolarsi, scorse infondo alla discesa una scolaresca e un bambino in particolare a lei molto famigliare; era proprio Marco, il suo fratellino.
“Eh già è proprio lui,” chi aveva parlato?
Una ragazzina con i capelli rossi raccolti in una grossa treccia le si era piazzata accanto e aveva pronunciato quelle parole.
‘E questa chi è?’ Si disse Matilde.
“Sono io, Rita! Ho pensato di cambiare forma così possiamo stare un pò insieme” disse, di risposta ai suoi pensieri.
“Ma non dovevi dormire?”
“Mi sono ricordata il perché ti avevo portata proprio qua!”
“Vieni con me” la bambina rossa, con un vestitino rosa pieno di ciliegine ricamate, e un ampio colletto merlettato, che quindi era la Graziella parlante, la prese per mano e la condusse giù per la collina.
Ecco la classe del fratellino Marco che faceva solo la terza elementare.
Erano in uscita al parco, alcuni bambini formavano gruppetti ma Marco se ne stava da solo, era forse l’unico attento a quello che diceva la maestra ma si guardava anche intorno ogni tanto, e quello sguardo aveva un ché di nostalgico.
Poi la maestra disse il fatidico: “mettetevi a coppie e tenetevi per mano”
In pochi secondi le coppie si erano formate e Marco si guardava intorno disperatamente senza aver trovato un compagno, qualcun altro era rimasto isolato, ma sembravano quasi non conoscersi.
La maestra decise che avrebbe formato lei le ultime coppie, e Marco lo prese sotto la sua custodia: mano nella mano della maestra, Matilde vide qualche bambino sghignazzare.
Marco sembrava davvero triste.
Ma poi quando la maestra durante il percorso iniziò a spiegare i nomi degli alberi e “come funzionavano” e che fiori facevano eccetera eccetera, gli occhi di Marco tornarono a sorridere.
Al momento di giocare, eccolo di nuovo solo che studiava le foglie, ma solo perché nessuno lo invitava a giocare; Matilde si sentì improvvisamente molto triste; e quella tristezza non era per sé
stessa ma per suo fratello, che fino a un attimo prima credeva spensierato e senza problemi.
“Non pensavi che fosse dura anche per lui, eh?”
Disse Rita come leggendole i pensieri.
Matilde non fece in tempo a ribattere, che la ragazzina un tempo bicicletta, la anticipò.
“Coraggio andiamo”
Passò dietro un albero e tornò la Graziella rosa di prima, Matilde senza fare più domande montò su e si lasciò portare.
Uscirono dal parco e presero la strada a destra, si trovarono in mezzo al traffico senza pista ciclabile, ma la piccola bicicletta sfrecciava sicura a lato della strada e Matilde ormai si fidava.
Arrivarono in poco tempo ai piedi di un palazzo grigio, alto e pieno di piccole finestrelle azzurre.
All’entrata c’era una sfilza di campanelli e cartelli indicanti tutti gli uffici che si distribuivano tra i piani del complesso.
“Qua ci lavora papà” esclamò Matilde non appena se ne ricordò. C’era stata solo qualche volta in passato, ora ricordava.
“Ha senso che ti leghi se poi diventi una bambina?” Chiese giustamente alla compagna.
“Direi di no, salgo con te”
Così la bicicletta passò dietro a una colonna grigia dell’edificio grigio e tornò ad essere la ragazzina rossa, ma ora indossava un completo giallo canarino, che sembrava proprio una cosetta da ufficio, sofisticata e comoda.
“Seguimi” così Rita la precedette su per le scale.
“Di qua” disse, una volta arrivate al piano.
Ecco che entrarono come se nulla fosse in una grande stanza dove c’erano sei scrivanie; in una di questa Matilde riconobbe le cose di suo padre, una foto della famiglia e alcuni oggetti che aveva fabbricato lei alla scuola materna per la festa del papà, come un simpatico porta penne di dash a forma di tartaruga.
A lato della scrivania erano attaccati al muro con lo scotch i disegni suoi e di Marco di qualche anno prima.
Il babbo però non c’era.
Non fece in tempo a chiedersi “dov…” che Rita le prese la mano “dal direttore”
Andarono quindi verso l’ufficio del direttore; il babbo era lì, in piedi, era paonazzo.
Il direttore lo stava rimproverando per qualcosa che non si capiva, e il papà di Matilde se ne stava lì fermo come una statua a farsi sgridare, mentre con una mano, rossa come la sua faccia in quel momento, stritolava qualcosa di carta chiuso nel pugno.
“Doveva essere fatto una settimana fa! Menghini ha già terminato la pratica da un mese, mi dice qual è il problema?”
“Ma io stavo aiutando a terminare...”
“No guardi, lasci stare, non importa, torni pure al lavoro, non perda altro tempo”
Improvvisamente Matilde si sentì invadere da una rabbia spaventosa, e divenne anche più rossa di suo padre. Avrebbe voluto dare un pugno in faccia a quel signore insopportabile che trattava in quel modo il suo papà, che aveva provato a difendersi ma era stato interrotto bruscamente, come uno che non conta nulla, che non merita nemmeno di dire la sua.
“Io lo..” stava dicendo tra i denti, quando Rità la placò stringendole la mano.
“Non tutte le battaglie si vincono combattendo a parole o botte”
“Guarda” e le indicò il padre che andava rigido come un legno verso la porta del bagno.
Lo seguirono (tanto avrete capito che nessuno poteva vederle, così come al parco)
Eccolo davanti allo specchio che dopo essersi lavato la faccia un paio di volte, si riguardò; il colorito era tornato normale e sul volto spuntò un mezzo sorriso.
‘Ma si, devo ricordarmi che sta affrontando un divorzio, per questo è sempre nervoso, non importa. Tornò di là’.
Non aveva davvero parlato, ma Rita doveva aver usato uno dei suoi trucchi e i pensieri del babbo si sentivano chiari come parole da lui pronunciate.
Matilde fu molto fiera di lui, e lo seguì con lo sguardo mentre tornava alla sua scrivania e si rimetteva al lavoro.
“Ti ha dato una bella strigliata, eh!” Commentò un collega non proprio simpatico, e suo padre si limitò a rispondere con un “eh, ho sentito di peggio” e si rimise a battere i tasti della tastiera ignorandolo.
“E pensa che ha tardato nella consegna proprio perché ha aiutato quello là” le spiegò Rita, che sapeva tutto.
“Pensavo che papà non avesse problemi di questo genere, che andasse al lavoro come tutti gli adulti e basta” disse Matilde un pò rattristata.
“Ah ma vedi, tutti hanno i propri problemi, anche i genitori”.
Allora Matilde ricordò di averlo sentito delle volte sfogarsi con la mamma a proposito del lavoro, ma lei non ci aveva mai dato importanza perché pensava a sé stessa e tutte le difficoltà che ogni giorno doveva affrontare; i grandi se la cavavano pur bene!
“Immagino che adesso andremo dalla mamma…”
Indovinò, girandosi verso Rita.
Ma Rita era scomparsa.
Matilde si ritrovò a piano terra davanti alla bicicletta.
“Monta arriviamo in un baleno”
Non appena Matilde fu a bordo, la bici si sollevò in aria e sorvolò la strada, fino a portarla, davvero in uno schiocchiar di dita davanti al supermercato dove lavorava sua madre.
Ancora non l’avevamo incontrata neanche all’inizio di questa storia, perché la mamma di Matilde era sempre la prima ad alzarsi; doveva essere al lavoro prima del babbo, per lo meno da quando aveva richiesto il part-time, non facendo più i turni ma solo le mattine.
Il supermercato era pieno di gente.
Sua mamma si trovava ora davanti a uno scaffale e sistemava con metodo diversi cartoni di latte.
Sembrava molto calma e serena.
Poi una cliente le chiese un’informazione, mentre un altro cliente le veniva incontro lamentandosi che l’ultima volta aveva comprato una mozzarella ammuffita e voleva fare reclamo.
“La capisco benissimo signore, ma deve andare a chiedere all’ufficio informazioni” lo esortò sua madre che aveva ascoltato il suo sfogo con molta pazienza ma non era quello il suo incarico, e intanto spiegava all’altra cliente dove trovare il lievito.
“Mettono negli scaffali la roba ammuffita e poi sono cavoli tuoi! In che bel mondo che viviamo! Puah!” brontolava il signore allontanandosi, a voce abbastanza alta da farsi sentir da lei.
La mamma di Matilde sospirò un pò più afflitta di prima, e riprese a riempire gli scaffali.
Sua mamma era contenta del suo lavoro, ne era sicura! Non solo non l’aveva mai sentita lamentarsi, ma spesso raccontava a tavola aneddoti divertenti e a detta sua sembrava proprio che lavorare lì fosse uno spasso.
“Enrica alla cassa 3, Enrica alla cassa 3” si sentì riecheggiare d’improvviso.
“Eccomi eccomi” disse la mamma di Matilde, lasciando il lavoro a metà e dirigendosi alle casse, dove già l’aspettava una fila lunghissima.
Oltre la fila l’attendeva anche una bella serie di clienti nervosi e impazienti, e si sentì spesso rispondere male.
C’erano anche quelli simpatici e gentili ma, diciamo, non era la regola, se poi ci si metteva anche qualche collega brontolone e bacchettone…
Quella mattina Matilde stette un pò in compagnia di Rita a studiare il lavoro della mamma e capire che di fatica anche solo in mezza giornata ne faceva, non senza qualche maleducato di turno ad indispettirla.
“Non è sempre così” disse Rita, che indossava questa volta una salopette verde lattuga su di una maglietta verde pisello come se aspirasse a mimetizzarsi col reparto verdura.
“Volevo che vedessi cosa succede in una giornata no a entrambi i tuoi genitori, e a tuo fratello. Non prendertela troppo però, ora andiamo”
In effetti Matilde aveva iniziato a preoccuparsi per sua madre, e sentirsi dire che non era sempre così, le fu di consolazione, ma anche se fosse stato così anche solo un giorno a settimana, lei non se ne era mai accorta, o meglio, non ci aveva mai pensato, perché si ricordò che spesso aveva sentito sua madre lamentarsi di essere stanca, quando era convinta di essere sempre lei la più stanca di tutti.
Rita tornò ad essere una bicicletta e questa volta si rimise al suo volere.
“Ti porto dove vuoi tu adesso”
“Andiamo a scuola”
“Ne sei proprio sicura? Arriverai giusto in tempo per prenderti una bella sgridata e anche per far vedere il tuo compito di tecnica”
“Si voglio andare!” Affermò con convinzione e una nuova luce negli occhi.
Così, come correndo su un abile destriero, Matilde raggiunse la scuola. Stava parcheggiando la bici e salutando Rita, quando la simpatica bicicletta facendole l’occhiolino le disse:
“é ora di andare a scuola!”
“Si lo so”
Matilde spalancò gli occhi mentre lo diceva ma davanti a lei non c’era più il manubrio a fissarla, bensì sua mamma che eccezionalmente era venuta a svegliarla.
“Dai che ho preso un permesso dal lavoro per una visita, facciamo colazione insieme!”
La mamma non faceva quasi mai colazione con loro, tranne il sabato e la domenica, e neanche il babbo a dire il vero, perché la faceva sempre con lei prima, e poi, quando lei andava, lui preparava per i bambini, quindi quel giorno era davvero speciale perché tutti e quattro si ritrovarono a tavola insieme con la tazza davanti, ed era solo un mercoledì qualunque!
Matilde sembrava molto contenta, e la sua famiglia ne fu felice anche se non capiva bene come mai, lei che non mostrava mai un grande entusiasmo la mattina.
Prima di andare, diede un bacino alla mamma e al babbo come di consuetudine, ma questa volta raggiunse Marco e stampò anche lui un bel bacio sulla guancia, “buona scuola fratellino!forza!”
Marco rimase esterrefatto, ma contento.
Anche i genitori lo erano, vedere i propri figli mostrarsi che si vogliono bene è sempre una gioia per chi li ha messi al mondo.
E così Matilde si avviava a scuola sulla sua fidata Graziella rosa, che ora non parlava più ma le stava sempre molto simpatica.
Quasi come se si aspettasse una risposta, una volta a cavalcioni del sellino, esclamò: “si va a scuola!”
E così fu, in cinque minuti arrivò a scuola, che non le sembrava più così grande e così spaventosa.
Anche i ragazzini della sua classe più bulletti erano solo ragazzini in fondo, anche loro con chissà quali problemi, che potevano farle mai?
E così proprio quel giorno si accorse di Elisa, una ragazza con i capelli rossi raccolti in una grossa treccia che già da un anno era in classe con lei ma con cui nessuno parlava e nemmeno lei ci si era mai messa prima di quel momento, quindi prese coraggio e si avvicinò:
“Ciao Elisa, che bel vestito”
Elisa si illuminò arrossendo pure un poco sulle guance, indossava un abitino primaverile bianco di sangallo, che le stava davvero d’incanto ma siccome era tanto timida, non aveva amici, e nessuno le faceva un complimento.
“G-grazie, l’ha fatto mia madre”
“Wow! Complimenti!”
E da lì il ghiaccio cominciò a sciogliersi, e le due ragazzine iniziarono a diventare amiche.
L’interrogazione non andò benissimo ma neanche male, e il disegno di tecnica quel giorno non fu chiesto a lei ma ad altri compagni, avrebbe avuto tempo per fare meglio, non era decisamente una pessima giornata, anzi, ora aveva una nuova amica.
Uno dei ragazzi più antipatici le disse qualcosa ovviamente di antipatico, ma lei quasi non sentì e tornò a chiacchierare con Elisa del più e del meno.
Insieme andarono a giocare al parco Paradiso quel pomeriggio, Matilde portò anche Marco, era più piccolo ma che male c’era? E il fratellino spiegò alle due bambine cose interessantissime che aveva imparato su quegli alberi e le foglie.
Che giornata incredibile!
Quella sera Matilde andò a letto col cuore gonfio pieno di gioia anche se in fondo non era successo niente di straordinario. Quando i genitori vennero a darle la buonanotte le venne un’idea e d’istinto dopo il bacio consueto disse guardandoli con amore. “Grazie!”
“Grazie? E di che?”
“Che andate a lavorare e pensate a noi, grazie che fate quello che dovete fare!”
I genitori si guardarono perplessi, poi uscendo dalla stanza le soffiarono un altro bacino senza dire niente ma limitandosi a sorriderle, e andando verso la camera da letto continuarono a fare spallucce e dirsi “mah” “boh”
Però, una volta sotto le coperte, si sentivano ognuno in cuor suo, molto più felice di prima ed erano già pronti per affrontare un nuovo giorno.
2 opmerkingen
displayname6123584
Docent PlusThank you for sharing your project with the course. I really hope you enjoyed writing it? I loved your description of the bed cover being like a 'volcano'. I could see the imagery perfectly in my mind!
If you can, I'd say come back to your project in a month or two and re-read it. Have a think about what you might change, what you think worked well and what you could change? Thank you for taking the brave step of sharing your work and well done!
Origineel weergeven
Origineel verbergen
displayname8404837
@lisathompsonauthor Thank you for all the precious advices. I enjoyed the course and all the practices a lot, included the writing of this final project, it came to me really naturally while I was writing, and I will come back to it for sure, as you suggested.
Thanks for your inspiration and your support! I Hope to improve. Best wishes
Origineel weergeven
Origineel verbergen
Log in of doe gratis mee om te reageren